Sempre più, i contenuti umanistici nascono digitali o migrano su supporti digitali. Produzione, conservazione, analisi e mantenimento di
questi contenuti rappresentano una nuova sfida per gli ambiti tradizionalmente umanistici, che vengono a confrontarsi con le tecnologie digitali. Nata con il nome di Humanities Computing, la scienza che si occupa dell’unione tra le scienze umane e le tecnologie informatiche è oggi generalmente conosciuta come Digital Humanities.
La sfida del futuro per le scienze umane è quella di rendere operative in digitale tutte le fasi della ricerca, dal reperimento delle fonti, alla loro analisi e al loro reinserimento critico nella rete del sapere: la tecnologia si presenta dunque non solo come strumento, ma anche come nuova struttura di pensiero critico, del singolo e della collettività.
Le Digital Humanities hanno una data e un’occasione di inizio: nel 1946 padre Roberto Busa (Vicenza, 1913-Gallarate, 2011) ebbe l’idea di digitalizzare (il supporto erano, allora, le schede perforate) l’indice linguistico del corpus di San Tommaso d’Aquino. L’opera - di proporzioni monumentali - fu realizzata in collaborazione con IBM (http://www.corpusthomisticum.org/it/).
Da allora, molta strada è stata percorsa, e le Digital Humanities si sono espanse a toccare ogni ambito del sapere umanistico: dall’archivistica digitale alla linguistica computazionale, dall’infografica alla didattica e al gaming, in unione con la riflessione su comunicazione digitale, economia, diritto e marketing del web, digital art e tutte le metodologie filosofiche relative all’utilizzo del digitale negli “Studia Humanitatis”.